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venerdì 17 agosto 2018

Momo ed io / 3





“A sera, talvolta, quando i suoi amici se n’erano tornati a casa, sedeva a lungo, immobile sola nel gran cerchio di pietra dell’antico teatro, cui sovrastava la volta del cielo scintillante di stelle, con l’orecchio teso a ad ascoltare l’immensitá del silenzio. 
Era come fosse al centro di un grande orecchio a captare il suono di un universo di stelle. E dall’infinito le giungeva una sommessa e pur possente musica che le accarezzava l’anima.” 
“Momo”, Michael Ende


Lo sguardo del mio cane Momo è un suono.
Un suono preciso; non una dissonanza, ma nemmeno un’armonia.
Un diapason che io sola riconosco fra tutti i suoni naturali che mi circondano.

Una volta, molto tempo fa, ho visto le cascate del Niagara.
Come dicono tutti è “uno spettacolo straordinario”. Ma la cosa che colpisce di più è sicuramente il potente frastuono dell’immensa quantità d’acqua che precipita di sotto. Un suono difficile da descrivere: grande, gonfio, che ti attraversa in tutta la sua pienezza. Non si ode con le orecchie, ma con il corpo: impossibile non sentire ogni cellula vibrare grazie a quel rombo colossale. Ci sono gli spruzzi che ti colpiscono, c’è l’intensità del paesaggio e i colori delle pietre colpite dal getto dell’acqua; ma più di tutto il rombo.
È la natura che ti dice “ascoltami, perdio!” e reclama la nostra adesione a lei o, se recalcitranti, la nostra totale sottomissione ai suoi voleri.
Sarà stato questo il suono della creazione? Penso di no.
Io, che apprendo per antinomie, ho pensato laggiù che, se la creazione avviene attraverso un suono, non può essere di quella natura così sfacciata.
Dentro me il suono della creazione è una musica appena percettibile, sottile, sussurrata, piena di vita concentrata e ancora inespressa.
In molte cosmogonie la comparsa della vita avviene grazie a un suono e attraverso un suono si manifesta.
“Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale.” Scriveva M. Schneider in “La musica primitiva”.

Allora, per molti anni a venire, ho cercato quel suono, o meglio, sono stata interessata, appassionata dalla ricerca di quel suono. Non in modo maniacale, ma come una piacevole ricerca che ha fatto spesso da sfondo alla mia vita. Per questo amo stare “nella natura”, qualunque cosa questa affermazione significhi, e ascoltarla anche dentro di me.
Con questo interesse, alla ricerca di una vibrazione, di un suono primigenio, provo ad ascoltare anche chi mi avvicina.

Momo è sdraiata nel suo angolo preferito della sala. Il muso fra le zampe, mi guarda, e io percepisco, più che vedere, il suo sguardo da sotto in su, diretto a me.
Preparo la cena, mi muovo per la stanza, faccio gesti noti della nostra  quotidianità, ma soltanto da poco mi sono davvero abituata ai suoi occhi che mi seguono.
Quello sguardo, proprio quello e non un altro, è ora una costante del nostro legame profondo.
Una vibrazione fra di noi mentre cammino nel prato avanti e indietro per allenare questo legame; un nastro sottile e indistruttibile quando guadiamo il fiume alla ricerca del nostro posticino preferito; un suono che mi tiene sveglia mentre vivo la mia vita.
Lì, proprio lì, è racchiusa tutta la nostra cosmogonia, il nostro universo di contatti, esperienza, vissuto, bello e anche brutto.
Capisco solo ora che lo sguardo del mio cane è un suono. Quel suono.
Quel suono che, indipendentemente dal suo punto di osservazione, mi penetra nella schiena tra le scapole, solletica la mia colonna vertebrale e l’aiuta a raddrizzarsi, distende il mio diaframma e mi fa cantare bene, espande il mio cuore che può finalmente spargere frammenti di sé, attraversando facilmente lo sterno, senza paura di spezzarsi.
Il suono dello sguardo di Momo sostiene la mia personale cosmogenesi e in quel suono, proprio quello, mi sento viva e mi ascolto vivere con gratitudine.