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venerdì 16 novembre 2018

Tutto si aggiusta




E poi, la mattina successiva mi hai mandato quel messaggio: un improbabile slide show con un’altrettanto improbabile musichetta russa di sottofondo e con un alternarsi di cuoricini rosa e affermazioni del tipo “Coraggio! Oggi sarà una giornata meravigliosa!”, “La vita ti sorride”, “Buongiorno!”.
Tre minuti di stucchevoli luoghi comuni che mi hanno dato il permesso di piangerci un po' su e di ridere di me, delle mie stanchezze e delle mie pochezze.
Alexia, sei un’amica.
Ti ho conosciuta in primavera e abbiamo trovato subito un terreno comune, è il caso di dirlo, nella passione per le piante, i fiori e la cura dell’orto. Mi hai regalato semi di fiori che non avevo piantato ancora nel mio giardino e io ti ho regalato fiori banali che già possedevi. Mi hai dato i tuoi “bambuki” e io ho potuto sostenere le mie piante di fagiolo. Mi hai consigliato un sacco di rimedi fitoterapici e mi hai fatto ridere quando mi hai raccontato cose come “Io l’ortica la butto giù cruda. Piego la foglia in dentro e la ingoio senza masticare così non punge”.
Mi hai insegnato molti detti del tuo paese. Mi piace quando cominci le frasi con “Nel mio paese si dice…”. Sentenze come “Il cuore ha paura, ma le mani fanno”, mi rimarranno impresse per sempre e spero di trovare una giovane donna, un giorno, nella quale queste parole possano risuonare come ora risuonano in me.
Alexia, sei più alta di me, ma sei talmente sempre intenta a fare qualche pulizia, qualche faccenda, a trasportare qualcosa di molto pesante, che non si direbbe.
Hai un viso aperto, occhi azzurri che sorridono dietro occhiali eleganti, mille rughe e un set di camicie di cotone fatte a mano, sempre stiratissime che ti invidio davvero tanto.
Sei approdata in questa valle del medio Appennino sedici anni fa. Conosci tutti. E ogni tanto mi snoccioli interi alberi genealogici di cui hai mandato a memoria tutti i rami. Molti perché li hai accompagnati nei delicati momenti che precedono la morte.
In Ucraina hai lasciato un marito e due figli, che all’epoca avevano l’uno cinque e l’altro otto anni, ma sei riuscita a farli studiare tutti e due fino all’università.
E ora la vera preoccupazione è che non te li prenda la guerra.
Anche quando mi racconti queste cose, la tua voce è allegra e piena di energia, e io ridimensiono all’istante i miei guai e do forme e luci nuove al mio futuro.
Così domenica ci siamo ritrovate in cucina, nella cucina dove entrambe lavoriamo, in quell’angolo angusto fra la lavastoviglie e il tavolo di preparazione dei piatti e tu mi hai detto “Tutto si aggiusta” e io ho sentito il bisogno di appoggiare delicatamente il palmo della mia mano sulla tua guancia.
Hai inclinato la testa e mi hai sorriso.
È vero: quello che si è rotto si aggiusterà, ma la mia capacità creativa di riparazione si nutre della bellezza di persone come te e io sono felice di averti incontrata.
Tovarich.

martedì 6 novembre 2018

Boker Tov!




                                         “Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”.
                                                                                                              Bruce Chatwin


“Good morning!”, una voce squillante poco più in alto della mia testa, fra le fronde.
“Good morning!”, ripete.
Sto tornando di buon mattino dalla passeggiata coi miei cani e il sentiero che costeggia la casetta degli ospiti le passa sotto di un paio di metri.
Alzo la testa.
Una manina mi fa ciao da lassù e una figura esile da ballerina si sta tenendo in bilico con le braccia aggraziate sopra una slackline tesa tra due alberi.
La ballerina si chiama Noam, viene dal deserto del Negev in Israele e, insieme al suo compagno Michel, ci aiuta per un paio di settimane in cambio di vitto e alloggio (situazione che è possibile grazie alle meraviglie del web).
Viaggiano in giro per l’Europa su di un pulmino Volkswagen giallo di qualche anno fa che stanno riattando a camper. L’hanno chiamato Victor. L’interno l’hanno isolato con perline di legno e dello stesso materiale hanno costruito il letto pieghevole e la minuscola cucina.
Mentre ci aiutano a tagliare la legna per l’inverno il loro tempo libero lo passano a sistemare il camper.
Michel fa il maniscalco, ha un sorriso aperto e acuti occhi blu. Intaglia splendidi cucchiai nel legno.
Insieme sono talmente belli e rari, che mi aspetto che da un momento all’altro mollino gli attrezzi con i quali lavorano nel nostro piazzale e, contornati di cinghiali danzanti, inizino a cantare e ballare come nel più classico dei musical.
Anzi, tutte le volte che torno stravolta dal lavoro, mentre apro il cancello, mi stupisco che non lo stiano facendo davvero.
Invece guardiamo insieme vecchi film in inglese e ridiamo molto delle nostre incapacità a comunicare in una lingua che non ci è congeniale. Impariamo da loro qualche parola in ebraico e loro assorbono come spugne molto del nostro vocabolario italiano.
Stanno cercando un posto dove vivere che sia possibilmente in montagna. Amano arrampicare e, invece di voltare il muso del pulmino verso il sud Italia, come saggiamente gli abbiamo consigliato in vista dei rigori invernali, sorridendo ci indicano sulla cartina le Dolomiti. Che sono un bel posto, non c’è che dire, se non fosse per le temperature invernali.

Ecco, la sabbia del deserto del Negev, dove non sono mai stata, è arrivata a casa mia con Noam e Michel. E il mare dei Caraibi con Dalya e i boschi della Finlandia con Mirkka e le pendici della Scozia con Izzy.
Adoro viaggiare, ma in questo periodo della mia vita non posso farlo.
Per questo motivo apro la mia casa ai viaggiatori desiderosi di condividere parte della loro strada con me e con la mia famiglia.
È un’esperienza di scambio profondo con anime belle, menti aperte e cuori liberi. E, ad essere sincera, non riesco a immaginare altro modo che questo per nutrire la mia mente errante e placare la mia sete di conoscenza.
Il mio viaggio comincia quando riconosco parti delle persone che incontro nel mio universo interiore. Ha inizio quando una luce particolare illumina la connessione esistente tra una giovane che vive in una yurta ai margini di un deserto del medio oriente e una “me” che avrebbe potuto essere così o che addirittura sarà così in futuro.
Il viaggio, così come lo concepisco, non ha tempo e non ha spazio.
Chatwin non sarebbe stato d’accordo sul fatto che senza camminare sarebbe stato possibile viaggiare, ma forse perché ha viaggiato prima di internet.
E, pur sperimentando profondamente il concetto di Umanità attraverso i suoi viaggi, forse Bruce non ha mai potuto provare un tale forte senso di essere Uno nel qui e ora.

La mia porta è aperta: fatemi viaggiare amici!
E che sia “good morning”, “boker tov” o “buongiorno” poco importa; quello che conta davvero sono gli occhi limpidi, le menti aperte e i cuori liberi.



venerdì 19 ottobre 2018

Momo ed io / 6



Scende la sera sulla nostra casa color salvia e, finita la cena anche per gli umani, Momo chiede di uscire in giardino.
Abbiamo oltrepassato la metà di ottobre e fuori comincia a fare freschetto di sera anche se le giornate sono ancora calde da maglietta a maniche corte.
Nella nostra casa di paglia, il sole, filtrato dai vetri delle finestre, ha creato un bel tepore e noi sparecchiamo la cena pregustando il riposo serale.
La stufa è spenta perché non ne sentiamo il bisogno.
Io guardo i ferri sui quali staziona la mia sciarpa nuova che non vedo l’ora di mettermi al collo. Cosa impossibile, se non finisco di lavorarla…

Il mio cane ama il freddo. Ma soprattutto ama stare in un angolo del giardino quando fa buio, sempre quello, accanto a un giovane cotogno.
Lì, fra l’erba, si è creato un avvallamento dove si accuccia a guardare le colline e spesso, nelle sere d’estate, mi siedo anch’io assieme a lei ad ascoltare i grilli e a contare le lucciole.
Ieri sera, d’improvviso, mi ha colto la mancanza di Momo.
È già da un po' che, a causa del freddo e dell’umido, non vado a sedermi lá, con lei.
Così ho indossato il mio caldo poncho, ho preso la mia sediolina pieghevole da campeggio e le sono andata vicino: “Ciao Momo, ti spiace se mi metto qui accanto? Ho portato una sedia perché altrimenti, con questo umido, domani la sciatica si fa sentire…”.
Momo gira la testa e mi guarda come a dire “era ora che ti presentassi all’appuntamento!”, si alza, accetta due grattini dietro alle orecchie e si riaccuccia al suo posto.
Silenzio.
Silenzio che invita all’ascolto.
“Frrrrrrr, stock!”, alla nostra destra, la vecchia roverella, che svetta sulla stradina di ghiaia, fa cadere un grappolo di ghiande. Questo autunno ne ha fatte davvero tante, quell’albero, di ghiande, per la gioia dei cinghiali che spesso fanno questa strada per ritornare nei loro rifugi.
Alzo lo sguardo e le colline sono sagome nere avvolte da una nebbiolina cerulea illuminata dal quarto di luna che ci sovrasta. Che luce fa questa piccola luna!
Mi sembra di stare nel mezzo di un gioco di Munari: quello con le carte trasparenti che costruiscono paesaggi. Da piccola perdevo ore dietro a quei paesaggi, soli, nubi, alberi stilizzati. Inventavo infinite storie arricchendo quei pochi e accennati tratti di china di mille personaggi.
A poco a poco i miei sensi entrano nella dimensione dell’ascolto e percepisco il frinire dei grilli, che, alla fine di ottobre, non si sono ancora stancati di emettere il loro cricri.
Il mio naso sente odore di foglie che ingialliscono, la mia pelle misura con precisione igrometrica la percentuale di umidità nell’aria. Mi stupisco di come sia possibile sentire così tante cose se solo si presta un po' di attenzione.
In questo momento potrei sceneggiare un’intera stagione de “la donna bionica”, ma penso alla sciarpa che finirò domani, o un altro giorno, e penso a cose che dimenticherò presto, perché questo sentire è molto più forte, più intenso e più commovente.
Momo, aiutami tu, quanto è bella questa notte di ottobre?
Un cane abbaia in lontananza, dove, nel buio, dovrebbe esserci la provinciale: luci piccole piccole passano veloci senza che ci raggiunga il loro rumore.
Potrebbe essere passato un minuto, ma credo sia passata almeno un’ora.
“Momo, andiamo a letto?”, come le dico ogni sera per invitarla a rientrare.
Si alza, si stira in un perfetto adho mukha svanasana e mi segue assonnata.
Tra poco, quando saremo tra le coperte, io sotto e lei sopra, troveremo per abitudine e per amore, il nostro modo di dormire e dividere i sogni.


giovedì 11 ottobre 2018

Ciao Sidi... / 2




Ciao Sidi,
          ora ho delle immagini di te impresse dietro la retina e mi riesce, se possibile, ancora più difficile la    tua attesa.
Nella prima immagine sei in piedi su un marciapiede di città e tieni il guinzaglio di un buffo cane tricolore che ti sta seduto a fianco. 
Ti piacciono i cani? Noi viviamo con due meticci. Ti accoglieranno con gioia: sanno davvero come voler bene senza filtri né barriere.
Hai l’aria tosta e ti atteggi a rapper come si vede nei film. Quanto mondo, e quanto sbagliato e ingiusto, c’è dietro quello sguardo spavaldo.
Nella seconda immagine stai mescolando le verdure in una padella in una piccola, semplice cucina.
Una scena casalinga che mi fa sentire che sei meno lontano di quanto dice il mio cuore in questo momento. 
Ti piace cucinare? Anche a me. Tanto. É uno dei modi che preferisco per conoscere le persone il cucinare insieme. Un gesto intimo, che regala molte parti di sé all’altro. Parti che difficilmente emergono in altri contesti, ma il cibo è vita, il cibo è Madre e le spinge tutte a galla queste parti. 
Spero che avremo modo di mescolare tante spezie io e te.
La terza immagine è un video, quindi ha il beneficio del sonoro. 
Sei grande, praticamente un omone, ma, nell’immagine che ho in mente, pieghi le tue mani verso il petto, come ad indicarti, e dici “io, bambino”.
Sidi, non lo sai e non so se lo saprai mai, ma “anche io, bambina”.
Nelle mille forme che sta prendendo la lunga attesa del tuo arrivo questa è la più inaspettata. Mi immagino in questa nuova forma, nuovissima e quindi “bambina”, che attraversa il mare e il deserto per raggiungerti lì, dove sei nato, in Mali, un paese che conosco solo per immagini, musiche e scritti. 
In realtà sei tu il viaggiatore, sei tu che stai venendo da noi e non viceversa.
Eppure “io, bambina” ti aspetto e, allo stesso tempo, vivo con la sensazione di stare preparando la valigia per un viaggio sconvolgente. 
Sarà “bello”? “Brutto”? In questo momento non lo posso sapere, ma sará di certo un bel impatto per tutti i muri e le cornici che ancora non so di possedere dentro di me. Lo sarà per tutte le innumerevoli volte che mi sorprenderò a specchiarmi nei tuoi modi, nella tua umanità e nelle tue profondità.
Sarò io a varcare i confini del mio piccolo mondo per cercare di raggiungere il tuo, che è molto più vasto, molto più complesso e profuma di futuro.
Questo profumo lo sento ora, Sidi.
E, mentre penso a che forma dare alla tua attesa, mi coglie improvviso questo profumo: di domani, di terra buona, di mani che indicano il cuore. 




mercoledì 10 ottobre 2018

Ottobre



Amo di ottobre:
  • i cieli;
  • la zucca;
  • mele e pere cotogne;
  • le giornate di vento e sole che stupiscono;
  • i compleanni delle mie amiche;
  • i desideri che si dipanano sulle maglie mentre confeziono la mia nuova sciarpa di lana;
  • il che tempo si fa circolare e i pensieri che mescolano passato, presente e futuro;
  • la coperta scoperta che non ricordavo ancora di avere;
  • gli abbracci che si fanno più caldi;
  • la vita che si fa più evidente e fluida e immaginifica;
  • le promesse più facili da mantenere.














mercoledì 3 ottobre 2018

Momo ed io / 5






“Preoccupati di dare agli altri quello di cui hanno bisogno da parte tua”
Cristina Ruschi del Punta - “Sette punti neri”





Il cane è una creatura che sa davvero cosa significa essere una presenza nella vita di qualcuno.
E io, malgrado me, sono una dannata solipsista.
Se lo desidero, riesco ad isolarmi anche vivendo per anni in una casa piena di persone.
E quindi tenere le persone a debita distanza è una mia grande specialità.
Anche le più vicine. Soprattutto le più vicine.
Così, quando Momo è entrata nella mia vita, ho dovuto fare i conti proprio con questo. Assieme a tutte le altre cose, e sono moltissime, con le quali ho dovuto fare i conti alla comparsa del mio cane, c’è stata questa: l’incredibile capacità che hanno i cani di starti sempre vicino.
Ti alzi; si alza. Ti sdrai; si sdraia. Passeggi; passeggia. Ovunque sei tu; è lei.
Ma lo starti vicino dei cani non è meramente fisico, è qualcosa che oltrepassa il quotidiano e ti raggiunge le viscere, qualcosa che ti sfiora dentro e non smette mai, qualcosa che, se non riesci ad accettarlo, ti fa sempre starnutire la mente.
“Ma tu chi accidenti sei?”, le chiedevo quando era un coso peloso che non aveva raggiunto i tre chili di peso. E lei guardava e guardava e guardava…
“ ‘zzo guardi?”, e dentro la mia testa qualcosa starnutiva bello forte “etciuuuuuuuuuuuu”.
Allora non sapevo ancora che, se non avessi accettato questa presenza costante dentro me, quest’anima che si sdraierà schiena contro schiena alla mia tutti i giorni che vivremo insieme, non avrei mai potuto accettare pienamente me stessa.
Ho imparato ad accettare che i cani sanno cose che noi abbiamo smesso di sapere. Ho imparato a capire che la mia mente starnutisce quando ho qualcosa di nuovo e bello da imparare. Ho imparato pian piano che sperimentare l’unione con un altro essere vivente può essere un buon viatico per la mia personale evoluzione e che, a volte, ma solo a volte, è anche doloroso.
Ma che va bene così.
Esiste un “dolore buono” che aiuta l’anima a dire addio a vecchie solitarie abitudini, che, come calzini spaiati, ingombrano i cassetti che dovrebbero contenere i doni che l'Universo ha in serbo per noi. Buttiamo i calzini e teniamoci i doni.
Conviene. Conviene sempre.
E il fastidio da contatto che provavo all’inizio si è trasformato in una domanda: “cosa posso fare per te?”, alla quale Momo ha risposto silenziosamente, ma con forza, perché, per fortuna, vivo con un cane dalla personalità spiccata.
E, con lentezza e diverse difficoltà, lei mi ha insegnato che, quando ci stiamo vicine, ma vicine davvero, non è affatto necessario formulare domande né aspettarsi risposte sincere a domande ridondanti.
Io so chi sei e il mio sguardo limpido ti attraversa tutti i giorni. So cosa stai provando e so di cosa hai bisogno.
Allora ho imparato a rivolgerle a me stessa, le domande.
“Cosa posso fare per starti vicina?”
“Quali sono le cose che ti rendono felice e come possiamo realizzarle insieme?”
“Quali spazi apro dentro di me per farti stare più vicina?”
Piccole cose. Una strada fatta di piccole cose. Una strada fatta insieme, così: sfiorandosi l’anima non appena si può, non appena l’altra ha fatto spazio dentro di sé.

Ora Momo mi trotta incontro con la bocca aperta in un largo sorriso e la lingua penzoloni, e io, che sto ancora imparando a risponderle nel modo che le fa più piacere, non desidero altro che mi tocchi l’anima.

mercoledì 26 settembre 2018

Voilà!


L'immagine può contenere: testo e acqua



Agnes ha il profumo di un raggio di sole che entra in una stanza appena pulita e, mentre saliamo al rifugio Piancavallo in Val Grande, punteggia il suo discorso di "voilà".
È una sera di fine estate, veniamo tutte e due da lontano; ma lei di più.
L'ho incontrata alla piccola e brutta stazione di Verbania, dove sono andata a prenderla.
Per raggiungere Verbania dalla Val Maira, dove è nata, cresciuta e abita, ha dovuto fare qualcosa come quattro cambi, passando per Milano. Io le ferrovie italiane non le capisco.
I capelli biondissimi e raccolti incorniciano una faccia fresca, come se neanche avesse affrontato il viaggio, che conserva anche durante la salita nonostante le guance arrossiscano lievemente per lo sforzo.
Parliamo salendo piano fra i larici e io sbuffo come una locomotiva mentre tento di rispondere alle sue domande e invano provo a formularne di mie per lei cercando di metterci quel poco di intenzionalità che invece mi serve per far andare le mie vecchie gambe.
Sta facendo buio e dobbiamo salire in fretta, se no rischiamo di perderci la presentazione del libro di Enrico Camanni, "Alpi ribelli".
Parliamo di cani e pecore. Lei alleva Sambucana, che è una razza piemontese, insieme ai suoi fratelli e girano per la sua giovane testa molti bei progetti a riguardo. Ama i cani e li conosce molto bene.
Ci incontriamo su questo argomento: i cani, come fanno spesso le persone che li amano. Mi parla dei suoi vecchi amici, quelli che non ci sono più, con antico rispetto e rinnovata gratitudine soprattutto per come hanno lavorato bene insieme alla sua famiglia. Li chiama per nome, i suoi amici cani, e sono nomi pieni di amore.
Arriviamo al rifugio che non si vede più il sentiero, ma l'amico di Agnès che lo gestisce ci accoglie con un sorriso largo. Si capisce che gli piace Agnès!
Le poche persone presenti sono già attorno al tavolo della cena e hanno quasi finito, ma un piatto di polenta concia è rimasto anche per noi.
Ci sediamo vicino a un signore dall’aria dimessa e un volto su cui spiccano, per contrasto, occhi vivaci. Fa domande attente e centrate sulle persone cui le pone, pur non conoscendo l’interlocutore. Conosce la famiglia di Agnès, il nonno in particolare, di cui ci racconta qualche aneddoto. La famiglia di Agnès deve essere famosa in Val Maira e dintorni.
Anche a me chiede due o tre cose sul luogo dal quale provengo stupendomi per la consapevolezza amorevole che mette nell’ascolto delle mie risposte preconfezionate. D’istinto vorrei raccontargli tante cose, ma attorno al tavolo, insieme a noi, ci sono altre persone e, purtroppo, io non sono mai stata molto brava a correre dietro ai buoni presagi del mio istinto.
I tavoli della sala grande del rifugio dove abbiamo mangiato sono stati sparecchiati con discrezione; senza quasi che ce ne accorgessimo.
Il signore dagli occhi vivaci si siede da solo dietro a un tavolo della sala e comincia a raccontarci il suo libro.
Il motivo per cui le Alpi sono “ribelli” è, nel suo pensiero, sia morfologico, sia geografico, sia antropologico. È un pensiero da alpinista, quale lui è, e, da profondo conoscitore della montagna, con chiarezza e semplicità arriva al cuore del problema: queste montagne, a partire dal 1700, sono sempre state considerate un confine geografico lineare, quando, in realtà, le persone che lì vivono le hanno sempre percepite come un luogo a forma circolare. La verticalità, poi, è genesi e ispirazione di resistenze; basti pensare alla forza di gravità che dobbiamo sfidare per arrivare in vetta (e le mie gambe lo capiscono perfettamente).
Il suo libro, però, parla di persone, gente che, in ogni epoca, ha sfidato le istituzioni per far vivere idee eretiche e libertarie. Persone come noi, come me, che hanno cercato rifugio nelle Alpi e, a volte, hanno trovato comunità pronte ad accoglierli e a comprenderli.
Per non precipitare nel sonno direttamente sulla panca, mi alzo per farmi autografare il libro alla fine del discorso.
Guardo le persone che si muovono attorno a me e mi sembra di cogliere in loro, amanti della montagna, una stessa semplice luce.
Il giorno seguente io e Agnès ci svegliamo in un paesaggio inesistente. Nuvole piovigginose avvolgono ogni cosa ed è impossibile capire dove stiano andando i nostri passi. Scendiamo rapide slittando su rocce e foglie. Lei mi regala la stessa calma attenzione della sera prima: a volte, se davanti a me, controlla che non stia cadendo, a volte si ferma e mi fa passare davanti. Quando entriamo nel bosco per l’ultimo tratto del sentiero, i larici gonfi di umidità ci restituiscono una pioggia leggera, ma insistente. Ho i capelli fradici, ma tra poco raggiungeremo l’auto dove potrò asciugarmi, perciò paziento.
Agnès ha la stessa calma dolcezza del giorno prima, mi guarda, sorride, e io penso che da ora in avanti per me la montagna, l’idea stessa di montagna, la sua parte sana e luminosa avrà il volto di questa giovane donna.

domenica 16 settembre 2018

E pluriball unum



“ E pluribus unum”
      Motto degli Stati Uniti d’America


Mia sorella Simona lavora il feltro con mani piccole e agili.
Teresa, e il suo corpo intero che sorride, la guida alla ricerca del pluriball che, sotto gli strati di lana non ancora infeltrita, fa da dima al lavoro che stiamo facendo.
La lana delle pecore felici di Alessandro è una promessa di calore e protezione e, sotto la schiuma del sapone vegetale, si trasforma docile mentre le mie mani la massaggiano.
La lanolina me le ammorbidisce, le mani, ed è una sensazione di completezza che mi rapisce la mente, perché “anche se il cuore ha paura, le mani fanno”, dice, citando uno dei suoi mille proverbi ucraini, mia sorella Alexia.
Quando le mie mani fanno, tutta me stessa scivola lì, in quelle dieci dita e allora io non sono nulla più che falangi e movimenti. Il mondo comincia e finisce nel lavoro delle mie mani. Nulla é troppo faticoso, nulla è troppo impegnativo.
L’ho imparata dalla mia nonna Luisa questa specie di meditazione del fare.
La ricordo soprattutto nei giorni precedenti il 24, 25 e 26 dicembre, quando casa nostra si riempiva (letteralmente) di ravioli. Venivano stesi ad asciugare su ogni superficie possibile (letti compresi) nell’attesa dei numerosi ospiti che avrebbero popolato casa nostra. Parenti (che dormivano spesso su letti molto improvvisati sul pavimento), ma anche amici, o amici di amici, o parenti di amici che “altrimenti sarebbero stati soli a Natale, poverini”.
Una distesa immensa di piccole prelibatezze ripiene (ogni commensale nel avrebbe trovati 10 nel piatto, non uno di più non uno di meno) che venivano amate a partire dalla sfoglia tirata a mano e dal ripieno fatto con ricetta segretissima e antichissima. Piegati a uno a uno, in una forma di trance meditativo che potrebbe fare la fortuna di molti moderni “maestri”, e distesi su tovaglie bianche, “che più bianche non si può”. I più piccoli di noi venivano condannati al girone dei “contatori di ravioli” e contavano e ricontavano quelle delizie, finché non si era matematicamente certi che nessun ospite (neanche quello più inatteso) sarebbe rimasto senza.
È così, anche mentre impasto il feltro, con le mie mani, che sono io, che in questo momento sono il mondo; vicino alle mie sorelle, che lavorano questa lana per farne piccole ciotole, che sono il perfetto simbolo della femminilità, riscopro che tutto è tondo, tutto è circolare.
La mia amata e preziosissima nonna la ritrovo qui: nel laboratorio di feltro con altre sette donne.
Donne.
Sorelle.
Creatrici di forme, creative del fare.

mercoledì 12 settembre 2018

Momo ed io / 4



“Una delle false credenze più diffuse sul funzionamento del nostro cervello riguarda i due emisferi che lo compongono: l’idea di un emisfero sinistro con maggiori abilità logiche e di un emisfero destro con doti prettamente creative viene spesso considerata come un assioma delle neuroscienze”.


“Mi fido di te”, disse il cane.
“Lo so”, disse la donna, “sei un cane”.
“Sbagliato!”, disse il cane, “Il fatto che io sia un cane non ti e non mi insegna nulla sulla fiducia più di quanto non lo faccia il fatto che tu sei una femmina di umano”.
“Spiegati meglio, cane, è mattina molto presto e non ho voglia di giochetti di logica canina”.
“Abbiamo vissuto insieme diversi anni, so come sei fatta, quali sono gli odori dei tuoi innumerevoli sentimenti. Anche se non avessimo vissuto insieme, saprei riconoscere la maggior parte degli odori del tuo sentire, ma il fatto di condividere come un branco ambienti, situazioni ed esperienze mi fa desiderare di entrare a far parte di quei sentimenti”.
“Ti seguo. Continua”.
“È irresistibile per me ora più che mai. Ti stai avvicinando piano piano a far corrispondere odori, sentimenti e movimenti del corpo in un miscuglio di creatività e logica umana. Questa coerenza è fascino per me.
Al momento sei un oggetto di studio davvero interessante.”
“Grazie! Però ancora adesso, se non hai voglia di fare qualcosa, ti metti a terra o, al peggio, tiri il guinzaglio in direzione ostinata e contraria…”
“Hai ragione”, ammise il cane, “mi metto a terra, ti osservo e ti sfido. Ti sfido, ma non ti sfiducio, perché ora sei interessante e le tue risposte, quando ti metto alla prova, sono per la maggior parte accattivanti.
Ti ricordi, razza di testona, quando per farmi fare la qualsiasi usavi un bocconcino o un biscotto? Per farmi rientrare in casa quando era ora di dormire, per farmi scendere dalla macchina, per non farmi salire in macchina, per farmi spostare, per farmi alzare … Devo continuare?”
“No, ti prego, è già abbastanza imbarazzante così.”
“Allora era palpabile, odorabile e tangibile, vista la quantità di bocconcini, la tua sfiducia nei miei confronti. Puzzavi di sfiducia lontano un miglio e, mentre ti avvicinavi a me con qualcosa in mano, avevo già bene in mente quale sarebbe stata la reazione migliore per farti fare qualcosa.
Hai capito benissimo: per farti fare quello che volevo.
Forse, mi dicevo, solo così avrei potuto consigliarti, aiutarti a capire, educarti.
Il mio compito è portarti un messaggio che viene da molto lontano nel tempo e nello spazio e ho tutta l’intenzione di assolvere nel migliore dei modi a questo proposito.”
“Grazie, cane, lo sai che ti sono molto grata per questo. Il tuo messaggio fa da sottofondo ai moti del mio cuore. Sempre.”
“E poi, testona, gli scienziati l’hanno smentita un sacco di tempo fa la storia che voi umani ragionate con un emisfero del vostro cervello e create con un altro.  Ancora lì con la vecchia storia che il corpo, il mondo e l’universo sono da dividere in minuscole parti e minuscole funzioni. Pure io e te non siamo disgiunte. Quindi, cara la mia creativa, smetti di pensare e aprimi il cuore.
Io mi fido di te.”
“Qui ci vuole una bella corsa...”
“Dai, corriamo!”
I caprioli che stavano brucando ai margini del boschetto di acacie alzarono la testa per un attimo sorpresi dal fatto che, ai primi raggi del sole, un’umana è un cane bianco e nero corressero a perdifiato giù dalla collina attraverso il campo di erba medica già alta dopo l’ultimo taglio.
“Strane cose succedono in questo posto”, disse il più grigio dei due.
“Già. Strane cose”, rispose il fratello abbassando la testa per tornare a brucare.

martedì 4 settembre 2018

Settembre




 Motivi per cui settembre è un mese figo:
  • i cieli;
  • quell'arietta frizzarella;
  • la moltitudine di canzoni a lui dedicate;
  • la potatura della lavanda;
  • fare il sapone che regalerò a Natale;
  • scegliere quali progetti progetterò questo inverno;
  • il piumino 01 prodromo di nottate di piacevole sonno;
  • l'ultima legna da tagliare;
  • il diradarsi di persone e mezzi che girano in valle;
  • scovare gli ultimi prodotti nell'orto;
  • prendere e archiviare con amore i semi dei miei fiori preferiti;
  • il tempo che si dilata;
  • i funghi;
  • le prime tisane e i primi fuochi nella stufa;
  • la pioggia che lava i pensieri;
  • le giornate che si accorciano.

martedì 28 agosto 2018

Diritto...gettato...inclinato...tre insieme...





Maria, quando ti guarda, si tiene gli occhiali col naso.
Una capacità tutta sua di azionare i muscoli che stanno tra il naso e il condotto lacrimale.
Questa dote soprannaturale le conferisce una specie di occhiata sorpresa; le sopracciglia si alzano un poco mentre lo sguardo si fa attento.
Ma i suoi occhi sono spesso rivolti all’interno, alla mente, alla ricerca della parola più adatta alla situazione.
Le piace parlare. Le piace tanto che, mentre fa qualcosa, quasi sempre lo spiega ad alta voce a un uditorio invisibile: “sto aprendo la porta, vado in camera per prendere un golf, prenderò quello rosso, ecco, me lo sto mettendo addosso, l’aria si è fatta più fresca…”.
In altri casi, come quando, l’autunno scorso, eravamo intente a fare insieme i tortelli di zucca, il monologo interiore esteriorizzato si fa “Dante a mente”, Manzoni a mente, poeti vari (spaziando in tutte le epoche) o, spesso, citazioni lunghissime in latino.
Maria da qualche tempo ha ripreso in mano la grammatica di greco perché “è un peccato dimenticare una cosa così bella”.
A me sembra ieri che smadonnavo su “I greci e l’irrazionale” del Dodds (testo che, peraltro, fa ancora bella mostra di sè nella mia libreria) e, sinceramente, pensare al greco mi procura una certa vertigine.
Maria fa la marmellata di qualsiasi cosa. Chili, quintali, tonnellate di marmellata che “potrebbe essere un bel regalo per questo Natale, non si sa mai”.
E sono ormai trenta Natali che regala marmellata.
Maria disegna e scrive, ma sono sue cose segrete. Forse un giorno, forse quando saremo più in confidenza…
Maria fa la maglia. Confeziona maglioni, poncho, scialli, calze, sciarpe, berretti, per il marito, i sei figli, le persone con le quali condividono la vita e i suoi tredici nipoti. Ah, dimenticavo il pronipote. Ha una passione dichiarata per qualsiasi tipo di filato. Ma soprattutto la lana. Ora, mentre scrivo, è seduta alla finestra per carpire gli ultimi raggi del sole nel giorno che muore e la sento che dice: “...diritto...gettato...inclinato...tre insieme…”

Maria dice che siamo amiche.
Io spero di meritarmelo.

Maria. Anni 85. Mia suocera.

domenica 26 agosto 2018

Ciao Sidi ... / 1



Ciao Sidi,
ha appena piovuto. L’estate sta finendo come cantavano i Righeira, ma dubito che tu sappia di chi sto parlando. Siamo ancora ad agosto, però, e noi abbiamo già imparato ad aspettarti.
Di te sappiamo poche, pochissime cose: hai 17 anni, vieni dal Mali, hai fatto il terribile viaggio che ti ha portato in Italia in un lampo, due mesi appena.
Ci hanno detto che sei riuscito a prendere la terza media italiana in un anno, che è poco meno del periodo di tempo che vivi qui.
Ci rallegriamo del fatto che in Mali si parli francese, che tu parli francese. Siamo più volentieri francofoni anche noi.
Ti prepariamo la “casetta”, che è il posto nel quale starai, ma lo facciamo senza sapere quali sono le tue preferenze. Ti piace di più il letto singolo o a una piazza e mezza? Dove metterai le tue cose? Ti basterà metà armadio?
Comunque ci auguriamo che ti piaccia avere un po' di autonomia, visto che alla tua età, nel paese dal quale provieni, sei giá uomo da un pezzo.

L’attesa è un sentimento difficile da sostenere. Ha bisogno di essere alimentato con sogni e promesse, altrimenti si deprime, si accartoccia sulle proprie piccole tristezze e sui “ma se succede che…”.
Sei un mistero.
Una difficile impresa.
Finché non sarai qui, fai un po' tremare le ginocchia.
Le prospettive sono oscure e i progetti, senza di te, sono bizzarri puzzle con un pezzo mancante.
Ti abbiamo anche spedito una foto dalla quale ti guardiamo sorridendo, appoggiati a una balla di paglia. Chissà se l’hai ricevuta. Cosa pensi. Come sei fatto.

venerdì 17 agosto 2018

Momo ed io / 3





“A sera, talvolta, quando i suoi amici se n’erano tornati a casa, sedeva a lungo, immobile sola nel gran cerchio di pietra dell’antico teatro, cui sovrastava la volta del cielo scintillante di stelle, con l’orecchio teso a ad ascoltare l’immensitá del silenzio. 
Era come fosse al centro di un grande orecchio a captare il suono di un universo di stelle. E dall’infinito le giungeva una sommessa e pur possente musica che le accarezzava l’anima.” 
“Momo”, Michael Ende


Lo sguardo del mio cane Momo è un suono.
Un suono preciso; non una dissonanza, ma nemmeno un’armonia.
Un diapason che io sola riconosco fra tutti i suoni naturali che mi circondano.

Una volta, molto tempo fa, ho visto le cascate del Niagara.
Come dicono tutti è “uno spettacolo straordinario”. Ma la cosa che colpisce di più è sicuramente il potente frastuono dell’immensa quantità d’acqua che precipita di sotto. Un suono difficile da descrivere: grande, gonfio, che ti attraversa in tutta la sua pienezza. Non si ode con le orecchie, ma con il corpo: impossibile non sentire ogni cellula vibrare grazie a quel rombo colossale. Ci sono gli spruzzi che ti colpiscono, c’è l’intensità del paesaggio e i colori delle pietre colpite dal getto dell’acqua; ma più di tutto il rombo.
È la natura che ti dice “ascoltami, perdio!” e reclama la nostra adesione a lei o, se recalcitranti, la nostra totale sottomissione ai suoi voleri.
Sarà stato questo il suono della creazione? Penso di no.
Io, che apprendo per antinomie, ho pensato laggiù che, se la creazione avviene attraverso un suono, non può essere di quella natura così sfacciata.
Dentro me il suono della creazione è una musica appena percettibile, sottile, sussurrata, piena di vita concentrata e ancora inespressa.
In molte cosmogonie la comparsa della vita avviene grazie a un suono e attraverso un suono si manifesta.
“Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale.” Scriveva M. Schneider in “La musica primitiva”.

Allora, per molti anni a venire, ho cercato quel suono, o meglio, sono stata interessata, appassionata dalla ricerca di quel suono. Non in modo maniacale, ma come una piacevole ricerca che ha fatto spesso da sfondo alla mia vita. Per questo amo stare “nella natura”, qualunque cosa questa affermazione significhi, e ascoltarla anche dentro di me.
Con questo interesse, alla ricerca di una vibrazione, di un suono primigenio, provo ad ascoltare anche chi mi avvicina.

Momo è sdraiata nel suo angolo preferito della sala. Il muso fra le zampe, mi guarda, e io percepisco, più che vedere, il suo sguardo da sotto in su, diretto a me.
Preparo la cena, mi muovo per la stanza, faccio gesti noti della nostra  quotidianità, ma soltanto da poco mi sono davvero abituata ai suoi occhi che mi seguono.
Quello sguardo, proprio quello e non un altro, è ora una costante del nostro legame profondo.
Una vibrazione fra di noi mentre cammino nel prato avanti e indietro per allenare questo legame; un nastro sottile e indistruttibile quando guadiamo il fiume alla ricerca del nostro posticino preferito; un suono che mi tiene sveglia mentre vivo la mia vita.
Lì, proprio lì, è racchiusa tutta la nostra cosmogonia, il nostro universo di contatti, esperienza, vissuto, bello e anche brutto.
Capisco solo ora che lo sguardo del mio cane è un suono. Quel suono.
Quel suono che, indipendentemente dal suo punto di osservazione, mi penetra nella schiena tra le scapole, solletica la mia colonna vertebrale e l’aiuta a raddrizzarsi, distende il mio diaframma e mi fa cantare bene, espande il mio cuore che può finalmente spargere frammenti di sé, attraversando facilmente lo sterno, senza paura di spezzarsi.
Il suono dello sguardo di Momo sostiene la mia personale cosmogenesi e in quel suono, proprio quello, mi sento viva e mi ascolto vivere con gratitudine.

martedì 7 agosto 2018

Momo ed io / 2





“E tu chi sei?” Domandò il Bruco.
Non era promettente come apertura di dialogo. Intimidita, Alice rispose: “Io - a questo punto quasi non lo so più, signore - o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere stata cambiata più di una volta”.
“Che vuol dire con questo?” Domandò il Bruco, severamente. “Spiegati!”
“Vede, signore, non si può spiegare ciò che non si conosce” rispose Alice, “e io non mi conosco più, capisce?”

Lewis Carrol



È una calda mattina di metá agosto. Il sentiero non è battuto e cespugli e rovi ci vengono incontro. L’erba, ancora bagnata dalla guazza della notte, mi inumidìsce l’orlo dei pantaloni.
Momo è di buon umore, accelera il passo e trotterella davanti.
5, 10, 20 metri…
Una voce: “Chiamala!”
Io: “Momo!”
Lei si volta di scatto. Il suo volto è luminoso, il suo corpo rilassato, da ogni suo pelo traspare una felicità limpida, senza increspature. Tiene la lingua penzoloni sulla sinistra del muso e gli occhi fissi a me.
Com’è tipica questa sua espressione! Tipica di lei, la mia amica cane, la modalità con la quale ritorna da me, le punte delle orecchie mosse da una leggera brezza.
Mentre accorcia velocemente le distanze tra noi, i pensieri mi sopraffanno.
Da quale luogo misterioso il mio cane attinge alla sua spensieratezza? Perché mi sembra ancora di non meritarmi il suo spedito ritorno felice?
Mi accorgo che, nella mia mente, alcune azioni non le penso possibili. Purtroppo accolgo ancora la pronta risposta di Momo al mio richiamo con un malcelato stupore.
Come ho potuto arrivare a meritare una così rapida risposta da parte sua?
Com'è possibile che sia felice - felice! - di tornare da me?
Ho ancora impressi dentro quei frustranti momenti, mentre passeggiavamo insieme e la chiamavo, nei quali si girava a guardarmi con l’inconfondibile espressione del “ritenta, sarai più fortunata”, prima di sparire qualche ora nel bosco.
Oppure quando si sdraiava a terra per non fare quanto le chiedevo.

Cosa è cambiato tra di noi?
Io sono cambiata.
Non sono più quella di ieri e neanche sono più chi ero stamattina.
E Momo ha la straordinaria, meravigliosa capacità di accorgersene e adeguarsi.
Non sono sicura di essere migliore della me stessa di un tempo, ma la magica forza di questo vento estivo mi ha portato in direzione del ricongiungimento con lei.

E sempre sia bene-detto il vento che guida la mia vela verso questa relazione che mi fa sentire magica e rende la mia amica un cane felice.