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mercoledì 26 settembre 2018

Voilà!


L'immagine può contenere: testo e acqua



Agnes ha il profumo di un raggio di sole che entra in una stanza appena pulita e, mentre saliamo al rifugio Piancavallo in Val Grande, punteggia il suo discorso di "voilà".
È una sera di fine estate, veniamo tutte e due da lontano; ma lei di più.
L'ho incontrata alla piccola e brutta stazione di Verbania, dove sono andata a prenderla.
Per raggiungere Verbania dalla Val Maira, dove è nata, cresciuta e abita, ha dovuto fare qualcosa come quattro cambi, passando per Milano. Io le ferrovie italiane non le capisco.
I capelli biondissimi e raccolti incorniciano una faccia fresca, come se neanche avesse affrontato il viaggio, che conserva anche durante la salita nonostante le guance arrossiscano lievemente per lo sforzo.
Parliamo salendo piano fra i larici e io sbuffo come una locomotiva mentre tento di rispondere alle sue domande e invano provo a formularne di mie per lei cercando di metterci quel poco di intenzionalità che invece mi serve per far andare le mie vecchie gambe.
Sta facendo buio e dobbiamo salire in fretta, se no rischiamo di perderci la presentazione del libro di Enrico Camanni, "Alpi ribelli".
Parliamo di cani e pecore. Lei alleva Sambucana, che è una razza piemontese, insieme ai suoi fratelli e girano per la sua giovane testa molti bei progetti a riguardo. Ama i cani e li conosce molto bene.
Ci incontriamo su questo argomento: i cani, come fanno spesso le persone che li amano. Mi parla dei suoi vecchi amici, quelli che non ci sono più, con antico rispetto e rinnovata gratitudine soprattutto per come hanno lavorato bene insieme alla sua famiglia. Li chiama per nome, i suoi amici cani, e sono nomi pieni di amore.
Arriviamo al rifugio che non si vede più il sentiero, ma l'amico di Agnès che lo gestisce ci accoglie con un sorriso largo. Si capisce che gli piace Agnès!
Le poche persone presenti sono già attorno al tavolo della cena e hanno quasi finito, ma un piatto di polenta concia è rimasto anche per noi.
Ci sediamo vicino a un signore dall’aria dimessa e un volto su cui spiccano, per contrasto, occhi vivaci. Fa domande attente e centrate sulle persone cui le pone, pur non conoscendo l’interlocutore. Conosce la famiglia di Agnès, il nonno in particolare, di cui ci racconta qualche aneddoto. La famiglia di Agnès deve essere famosa in Val Maira e dintorni.
Anche a me chiede due o tre cose sul luogo dal quale provengo stupendomi per la consapevolezza amorevole che mette nell’ascolto delle mie risposte preconfezionate. D’istinto vorrei raccontargli tante cose, ma attorno al tavolo, insieme a noi, ci sono altre persone e, purtroppo, io non sono mai stata molto brava a correre dietro ai buoni presagi del mio istinto.
I tavoli della sala grande del rifugio dove abbiamo mangiato sono stati sparecchiati con discrezione; senza quasi che ce ne accorgessimo.
Il signore dagli occhi vivaci si siede da solo dietro a un tavolo della sala e comincia a raccontarci il suo libro.
Il motivo per cui le Alpi sono “ribelli” è, nel suo pensiero, sia morfologico, sia geografico, sia antropologico. È un pensiero da alpinista, quale lui è, e, da profondo conoscitore della montagna, con chiarezza e semplicità arriva al cuore del problema: queste montagne, a partire dal 1700, sono sempre state considerate un confine geografico lineare, quando, in realtà, le persone che lì vivono le hanno sempre percepite come un luogo a forma circolare. La verticalità, poi, è genesi e ispirazione di resistenze; basti pensare alla forza di gravità che dobbiamo sfidare per arrivare in vetta (e le mie gambe lo capiscono perfettamente).
Il suo libro, però, parla di persone, gente che, in ogni epoca, ha sfidato le istituzioni per far vivere idee eretiche e libertarie. Persone come noi, come me, che hanno cercato rifugio nelle Alpi e, a volte, hanno trovato comunità pronte ad accoglierli e a comprenderli.
Per non precipitare nel sonno direttamente sulla panca, mi alzo per farmi autografare il libro alla fine del discorso.
Guardo le persone che si muovono attorno a me e mi sembra di cogliere in loro, amanti della montagna, una stessa semplice luce.
Il giorno seguente io e Agnès ci svegliamo in un paesaggio inesistente. Nuvole piovigginose avvolgono ogni cosa ed è impossibile capire dove stiano andando i nostri passi. Scendiamo rapide slittando su rocce e foglie. Lei mi regala la stessa calma attenzione della sera prima: a volte, se davanti a me, controlla che non stia cadendo, a volte si ferma e mi fa passare davanti. Quando entriamo nel bosco per l’ultimo tratto del sentiero, i larici gonfi di umidità ci restituiscono una pioggia leggera, ma insistente. Ho i capelli fradici, ma tra poco raggiungeremo l’auto dove potrò asciugarmi, perciò paziento.
Agnès ha la stessa calma dolcezza del giorno prima, mi guarda, sorride, e io penso che da ora in avanti per me la montagna, l’idea stessa di montagna, la sua parte sana e luminosa avrà il volto di questa giovane donna.

domenica 16 settembre 2018

E pluriball unum



“ E pluribus unum”
      Motto degli Stati Uniti d’America


Mia sorella Simona lavora il feltro con mani piccole e agili.
Teresa, e il suo corpo intero che sorride, la guida alla ricerca del pluriball che, sotto gli strati di lana non ancora infeltrita, fa da dima al lavoro che stiamo facendo.
La lana delle pecore felici di Alessandro è una promessa di calore e protezione e, sotto la schiuma del sapone vegetale, si trasforma docile mentre le mie mani la massaggiano.
La lanolina me le ammorbidisce, le mani, ed è una sensazione di completezza che mi rapisce la mente, perché “anche se il cuore ha paura, le mani fanno”, dice, citando uno dei suoi mille proverbi ucraini, mia sorella Alexia.
Quando le mie mani fanno, tutta me stessa scivola lì, in quelle dieci dita e allora io non sono nulla più che falangi e movimenti. Il mondo comincia e finisce nel lavoro delle mie mani. Nulla é troppo faticoso, nulla è troppo impegnativo.
L’ho imparata dalla mia nonna Luisa questa specie di meditazione del fare.
La ricordo soprattutto nei giorni precedenti il 24, 25 e 26 dicembre, quando casa nostra si riempiva (letteralmente) di ravioli. Venivano stesi ad asciugare su ogni superficie possibile (letti compresi) nell’attesa dei numerosi ospiti che avrebbero popolato casa nostra. Parenti (che dormivano spesso su letti molto improvvisati sul pavimento), ma anche amici, o amici di amici, o parenti di amici che “altrimenti sarebbero stati soli a Natale, poverini”.
Una distesa immensa di piccole prelibatezze ripiene (ogni commensale nel avrebbe trovati 10 nel piatto, non uno di più non uno di meno) che venivano amate a partire dalla sfoglia tirata a mano e dal ripieno fatto con ricetta segretissima e antichissima. Piegati a uno a uno, in una forma di trance meditativo che potrebbe fare la fortuna di molti moderni “maestri”, e distesi su tovaglie bianche, “che più bianche non si può”. I più piccoli di noi venivano condannati al girone dei “contatori di ravioli” e contavano e ricontavano quelle delizie, finché non si era matematicamente certi che nessun ospite (neanche quello più inatteso) sarebbe rimasto senza.
È così, anche mentre impasto il feltro, con le mie mani, che sono io, che in questo momento sono il mondo; vicino alle mie sorelle, che lavorano questa lana per farne piccole ciotole, che sono il perfetto simbolo della femminilità, riscopro che tutto è tondo, tutto è circolare.
La mia amata e preziosissima nonna la ritrovo qui: nel laboratorio di feltro con altre sette donne.
Donne.
Sorelle.
Creatrici di forme, creative del fare.

mercoledì 12 settembre 2018

Momo ed io / 4



“Una delle false credenze più diffuse sul funzionamento del nostro cervello riguarda i due emisferi che lo compongono: l’idea di un emisfero sinistro con maggiori abilità logiche e di un emisfero destro con doti prettamente creative viene spesso considerata come un assioma delle neuroscienze”.


“Mi fido di te”, disse il cane.
“Lo so”, disse la donna, “sei un cane”.
“Sbagliato!”, disse il cane, “Il fatto che io sia un cane non ti e non mi insegna nulla sulla fiducia più di quanto non lo faccia il fatto che tu sei una femmina di umano”.
“Spiegati meglio, cane, è mattina molto presto e non ho voglia di giochetti di logica canina”.
“Abbiamo vissuto insieme diversi anni, so come sei fatta, quali sono gli odori dei tuoi innumerevoli sentimenti. Anche se non avessimo vissuto insieme, saprei riconoscere la maggior parte degli odori del tuo sentire, ma il fatto di condividere come un branco ambienti, situazioni ed esperienze mi fa desiderare di entrare a far parte di quei sentimenti”.
“Ti seguo. Continua”.
“È irresistibile per me ora più che mai. Ti stai avvicinando piano piano a far corrispondere odori, sentimenti e movimenti del corpo in un miscuglio di creatività e logica umana. Questa coerenza è fascino per me.
Al momento sei un oggetto di studio davvero interessante.”
“Grazie! Però ancora adesso, se non hai voglia di fare qualcosa, ti metti a terra o, al peggio, tiri il guinzaglio in direzione ostinata e contraria…”
“Hai ragione”, ammise il cane, “mi metto a terra, ti osservo e ti sfido. Ti sfido, ma non ti sfiducio, perché ora sei interessante e le tue risposte, quando ti metto alla prova, sono per la maggior parte accattivanti.
Ti ricordi, razza di testona, quando per farmi fare la qualsiasi usavi un bocconcino o un biscotto? Per farmi rientrare in casa quando era ora di dormire, per farmi scendere dalla macchina, per non farmi salire in macchina, per farmi spostare, per farmi alzare … Devo continuare?”
“No, ti prego, è già abbastanza imbarazzante così.”
“Allora era palpabile, odorabile e tangibile, vista la quantità di bocconcini, la tua sfiducia nei miei confronti. Puzzavi di sfiducia lontano un miglio e, mentre ti avvicinavi a me con qualcosa in mano, avevo già bene in mente quale sarebbe stata la reazione migliore per farti fare qualcosa.
Hai capito benissimo: per farti fare quello che volevo.
Forse, mi dicevo, solo così avrei potuto consigliarti, aiutarti a capire, educarti.
Il mio compito è portarti un messaggio che viene da molto lontano nel tempo e nello spazio e ho tutta l’intenzione di assolvere nel migliore dei modi a questo proposito.”
“Grazie, cane, lo sai che ti sono molto grata per questo. Il tuo messaggio fa da sottofondo ai moti del mio cuore. Sempre.”
“E poi, testona, gli scienziati l’hanno smentita un sacco di tempo fa la storia che voi umani ragionate con un emisfero del vostro cervello e create con un altro.  Ancora lì con la vecchia storia che il corpo, il mondo e l’universo sono da dividere in minuscole parti e minuscole funzioni. Pure io e te non siamo disgiunte. Quindi, cara la mia creativa, smetti di pensare e aprimi il cuore.
Io mi fido di te.”
“Qui ci vuole una bella corsa...”
“Dai, corriamo!”
I caprioli che stavano brucando ai margini del boschetto di acacie alzarono la testa per un attimo sorpresi dal fatto che, ai primi raggi del sole, un’umana è un cane bianco e nero corressero a perdifiato giù dalla collina attraverso il campo di erba medica già alta dopo l’ultimo taglio.
“Strane cose succedono in questo posto”, disse il più grigio dei due.
“Già. Strane cose”, rispose il fratello abbassando la testa per tornare a brucare.

martedì 4 settembre 2018

Settembre




 Motivi per cui settembre è un mese figo:
  • i cieli;
  • quell'arietta frizzarella;
  • la moltitudine di canzoni a lui dedicate;
  • la potatura della lavanda;
  • fare il sapone che regalerò a Natale;
  • scegliere quali progetti progetterò questo inverno;
  • il piumino 01 prodromo di nottate di piacevole sonno;
  • l'ultima legna da tagliare;
  • il diradarsi di persone e mezzi che girano in valle;
  • scovare gli ultimi prodotti nell'orto;
  • prendere e archiviare con amore i semi dei miei fiori preferiti;
  • il tempo che si dilata;
  • i funghi;
  • le prime tisane e i primi fuochi nella stufa;
  • la pioggia che lava i pensieri;
  • le giornate che si accorciano.