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venerdì 19 ottobre 2018

Momo ed io / 6



Scende la sera sulla nostra casa color salvia e, finita la cena anche per gli umani, Momo chiede di uscire in giardino.
Abbiamo oltrepassato la metà di ottobre e fuori comincia a fare freschetto di sera anche se le giornate sono ancora calde da maglietta a maniche corte.
Nella nostra casa di paglia, il sole, filtrato dai vetri delle finestre, ha creato un bel tepore e noi sparecchiamo la cena pregustando il riposo serale.
La stufa è spenta perché non ne sentiamo il bisogno.
Io guardo i ferri sui quali staziona la mia sciarpa nuova che non vedo l’ora di mettermi al collo. Cosa impossibile, se non finisco di lavorarla…

Il mio cane ama il freddo. Ma soprattutto ama stare in un angolo del giardino quando fa buio, sempre quello, accanto a un giovane cotogno.
Lì, fra l’erba, si è creato un avvallamento dove si accuccia a guardare le colline e spesso, nelle sere d’estate, mi siedo anch’io assieme a lei ad ascoltare i grilli e a contare le lucciole.
Ieri sera, d’improvviso, mi ha colto la mancanza di Momo.
È già da un po' che, a causa del freddo e dell’umido, non vado a sedermi lá, con lei.
Così ho indossato il mio caldo poncho, ho preso la mia sediolina pieghevole da campeggio e le sono andata vicino: “Ciao Momo, ti spiace se mi metto qui accanto? Ho portato una sedia perché altrimenti, con questo umido, domani la sciatica si fa sentire…”.
Momo gira la testa e mi guarda come a dire “era ora che ti presentassi all’appuntamento!”, si alza, accetta due grattini dietro alle orecchie e si riaccuccia al suo posto.
Silenzio.
Silenzio che invita all’ascolto.
“Frrrrrrr, stock!”, alla nostra destra, la vecchia roverella, che svetta sulla stradina di ghiaia, fa cadere un grappolo di ghiande. Questo autunno ne ha fatte davvero tante, quell’albero, di ghiande, per la gioia dei cinghiali che spesso fanno questa strada per ritornare nei loro rifugi.
Alzo lo sguardo e le colline sono sagome nere avvolte da una nebbiolina cerulea illuminata dal quarto di luna che ci sovrasta. Che luce fa questa piccola luna!
Mi sembra di stare nel mezzo di un gioco di Munari: quello con le carte trasparenti che costruiscono paesaggi. Da piccola perdevo ore dietro a quei paesaggi, soli, nubi, alberi stilizzati. Inventavo infinite storie arricchendo quei pochi e accennati tratti di china di mille personaggi.
A poco a poco i miei sensi entrano nella dimensione dell’ascolto e percepisco il frinire dei grilli, che, alla fine di ottobre, non si sono ancora stancati di emettere il loro cricri.
Il mio naso sente odore di foglie che ingialliscono, la mia pelle misura con precisione igrometrica la percentuale di umidità nell’aria. Mi stupisco di come sia possibile sentire così tante cose se solo si presta un po' di attenzione.
In questo momento potrei sceneggiare un’intera stagione de “la donna bionica”, ma penso alla sciarpa che finirò domani, o un altro giorno, e penso a cose che dimenticherò presto, perché questo sentire è molto più forte, più intenso e più commovente.
Momo, aiutami tu, quanto è bella questa notte di ottobre?
Un cane abbaia in lontananza, dove, nel buio, dovrebbe esserci la provinciale: luci piccole piccole passano veloci senza che ci raggiunga il loro rumore.
Potrebbe essere passato un minuto, ma credo sia passata almeno un’ora.
“Momo, andiamo a letto?”, come le dico ogni sera per invitarla a rientrare.
Si alza, si stira in un perfetto adho mukha svanasana e mi segue assonnata.
Tra poco, quando saremo tra le coperte, io sotto e lei sopra, troveremo per abitudine e per amore, il nostro modo di dormire e dividere i sogni.


giovedì 11 ottobre 2018

Ciao Sidi... / 2




Ciao Sidi,
          ora ho delle immagini di te impresse dietro la retina e mi riesce, se possibile, ancora più difficile la    tua attesa.
Nella prima immagine sei in piedi su un marciapiede di città e tieni il guinzaglio di un buffo cane tricolore che ti sta seduto a fianco. 
Ti piacciono i cani? Noi viviamo con due meticci. Ti accoglieranno con gioia: sanno davvero come voler bene senza filtri né barriere.
Hai l’aria tosta e ti atteggi a rapper come si vede nei film. Quanto mondo, e quanto sbagliato e ingiusto, c’è dietro quello sguardo spavaldo.
Nella seconda immagine stai mescolando le verdure in una padella in una piccola, semplice cucina.
Una scena casalinga che mi fa sentire che sei meno lontano di quanto dice il mio cuore in questo momento. 
Ti piace cucinare? Anche a me. Tanto. É uno dei modi che preferisco per conoscere le persone il cucinare insieme. Un gesto intimo, che regala molte parti di sé all’altro. Parti che difficilmente emergono in altri contesti, ma il cibo è vita, il cibo è Madre e le spinge tutte a galla queste parti. 
Spero che avremo modo di mescolare tante spezie io e te.
La terza immagine è un video, quindi ha il beneficio del sonoro. 
Sei grande, praticamente un omone, ma, nell’immagine che ho in mente, pieghi le tue mani verso il petto, come ad indicarti, e dici “io, bambino”.
Sidi, non lo sai e non so se lo saprai mai, ma “anche io, bambina”.
Nelle mille forme che sta prendendo la lunga attesa del tuo arrivo questa è la più inaspettata. Mi immagino in questa nuova forma, nuovissima e quindi “bambina”, che attraversa il mare e il deserto per raggiungerti lì, dove sei nato, in Mali, un paese che conosco solo per immagini, musiche e scritti. 
In realtà sei tu il viaggiatore, sei tu che stai venendo da noi e non viceversa.
Eppure “io, bambina” ti aspetto e, allo stesso tempo, vivo con la sensazione di stare preparando la valigia per un viaggio sconvolgente. 
Sarà “bello”? “Brutto”? In questo momento non lo posso sapere, ma sará di certo un bel impatto per tutti i muri e le cornici che ancora non so di possedere dentro di me. Lo sarà per tutte le innumerevoli volte che mi sorprenderò a specchiarmi nei tuoi modi, nella tua umanità e nelle tue profondità.
Sarò io a varcare i confini del mio piccolo mondo per cercare di raggiungere il tuo, che è molto più vasto, molto più complesso e profuma di futuro.
Questo profumo lo sento ora, Sidi.
E, mentre penso a che forma dare alla tua attesa, mi coglie improvviso questo profumo: di domani, di terra buona, di mani che indicano il cuore. 




mercoledì 10 ottobre 2018

Ottobre



Amo di ottobre:
  • i cieli;
  • la zucca;
  • mele e pere cotogne;
  • le giornate di vento e sole che stupiscono;
  • i compleanni delle mie amiche;
  • i desideri che si dipanano sulle maglie mentre confeziono la mia nuova sciarpa di lana;
  • il che tempo si fa circolare e i pensieri che mescolano passato, presente e futuro;
  • la coperta scoperta che non ricordavo ancora di avere;
  • gli abbracci che si fanno più caldi;
  • la vita che si fa più evidente e fluida e immaginifica;
  • le promesse più facili da mantenere.














mercoledì 3 ottobre 2018

Momo ed io / 5






“Preoccupati di dare agli altri quello di cui hanno bisogno da parte tua”
Cristina Ruschi del Punta - “Sette punti neri”





Il cane è una creatura che sa davvero cosa significa essere una presenza nella vita di qualcuno.
E io, malgrado me, sono una dannata solipsista.
Se lo desidero, riesco ad isolarmi anche vivendo per anni in una casa piena di persone.
E quindi tenere le persone a debita distanza è una mia grande specialità.
Anche le più vicine. Soprattutto le più vicine.
Così, quando Momo è entrata nella mia vita, ho dovuto fare i conti proprio con questo. Assieme a tutte le altre cose, e sono moltissime, con le quali ho dovuto fare i conti alla comparsa del mio cane, c’è stata questa: l’incredibile capacità che hanno i cani di starti sempre vicino.
Ti alzi; si alza. Ti sdrai; si sdraia. Passeggi; passeggia. Ovunque sei tu; è lei.
Ma lo starti vicino dei cani non è meramente fisico, è qualcosa che oltrepassa il quotidiano e ti raggiunge le viscere, qualcosa che ti sfiora dentro e non smette mai, qualcosa che, se non riesci ad accettarlo, ti fa sempre starnutire la mente.
“Ma tu chi accidenti sei?”, le chiedevo quando era un coso peloso che non aveva raggiunto i tre chili di peso. E lei guardava e guardava e guardava…
“ ‘zzo guardi?”, e dentro la mia testa qualcosa starnutiva bello forte “etciuuuuuuuuuuuu”.
Allora non sapevo ancora che, se non avessi accettato questa presenza costante dentro me, quest’anima che si sdraierà schiena contro schiena alla mia tutti i giorni che vivremo insieme, non avrei mai potuto accettare pienamente me stessa.
Ho imparato ad accettare che i cani sanno cose che noi abbiamo smesso di sapere. Ho imparato a capire che la mia mente starnutisce quando ho qualcosa di nuovo e bello da imparare. Ho imparato pian piano che sperimentare l’unione con un altro essere vivente può essere un buon viatico per la mia personale evoluzione e che, a volte, ma solo a volte, è anche doloroso.
Ma che va bene così.
Esiste un “dolore buono” che aiuta l’anima a dire addio a vecchie solitarie abitudini, che, come calzini spaiati, ingombrano i cassetti che dovrebbero contenere i doni che l'Universo ha in serbo per noi. Buttiamo i calzini e teniamoci i doni.
Conviene. Conviene sempre.
E il fastidio da contatto che provavo all’inizio si è trasformato in una domanda: “cosa posso fare per te?”, alla quale Momo ha risposto silenziosamente, ma con forza, perché, per fortuna, vivo con un cane dalla personalità spiccata.
E, con lentezza e diverse difficoltà, lei mi ha insegnato che, quando ci stiamo vicine, ma vicine davvero, non è affatto necessario formulare domande né aspettarsi risposte sincere a domande ridondanti.
Io so chi sei e il mio sguardo limpido ti attraversa tutti i giorni. So cosa stai provando e so di cosa hai bisogno.
Allora ho imparato a rivolgerle a me stessa, le domande.
“Cosa posso fare per starti vicina?”
“Quali sono le cose che ti rendono felice e come possiamo realizzarle insieme?”
“Quali spazi apro dentro di me per farti stare più vicina?”
Piccole cose. Una strada fatta di piccole cose. Una strada fatta insieme, così: sfiorandosi l’anima non appena si può, non appena l’altra ha fatto spazio dentro di sé.

Ora Momo mi trotta incontro con la bocca aperta in un largo sorriso e la lingua penzoloni, e io, che sto ancora imparando a risponderle nel modo che le fa più piacere, non desidero altro che mi tocchi l’anima.