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martedì 28 agosto 2018

Diritto...gettato...inclinato...tre insieme...





Maria, quando ti guarda, si tiene gli occhiali col naso.
Una capacità tutta sua di azionare i muscoli che stanno tra il naso e il condotto lacrimale.
Questa dote soprannaturale le conferisce una specie di occhiata sorpresa; le sopracciglia si alzano un poco mentre lo sguardo si fa attento.
Ma i suoi occhi sono spesso rivolti all’interno, alla mente, alla ricerca della parola più adatta alla situazione.
Le piace parlare. Le piace tanto che, mentre fa qualcosa, quasi sempre lo spiega ad alta voce a un uditorio invisibile: “sto aprendo la porta, vado in camera per prendere un golf, prenderò quello rosso, ecco, me lo sto mettendo addosso, l’aria si è fatta più fresca…”.
In altri casi, come quando, l’autunno scorso, eravamo intente a fare insieme i tortelli di zucca, il monologo interiore esteriorizzato si fa “Dante a mente”, Manzoni a mente, poeti vari (spaziando in tutte le epoche) o, spesso, citazioni lunghissime in latino.
Maria da qualche tempo ha ripreso in mano la grammatica di greco perché “è un peccato dimenticare una cosa così bella”.
A me sembra ieri che smadonnavo su “I greci e l’irrazionale” del Dodds (testo che, peraltro, fa ancora bella mostra di sè nella mia libreria) e, sinceramente, pensare al greco mi procura una certa vertigine.
Maria fa la marmellata di qualsiasi cosa. Chili, quintali, tonnellate di marmellata che “potrebbe essere un bel regalo per questo Natale, non si sa mai”.
E sono ormai trenta Natali che regala marmellata.
Maria disegna e scrive, ma sono sue cose segrete. Forse un giorno, forse quando saremo più in confidenza…
Maria fa la maglia. Confeziona maglioni, poncho, scialli, calze, sciarpe, berretti, per il marito, i sei figli, le persone con le quali condividono la vita e i suoi tredici nipoti. Ah, dimenticavo il pronipote. Ha una passione dichiarata per qualsiasi tipo di filato. Ma soprattutto la lana. Ora, mentre scrivo, è seduta alla finestra per carpire gli ultimi raggi del sole nel giorno che muore e la sento che dice: “...diritto...gettato...inclinato...tre insieme…”

Maria dice che siamo amiche.
Io spero di meritarmelo.

Maria. Anni 85. Mia suocera.

domenica 26 agosto 2018

Ciao Sidi ... / 1



Ciao Sidi,
ha appena piovuto. L’estate sta finendo come cantavano i Righeira, ma dubito che tu sappia di chi sto parlando. Siamo ancora ad agosto, però, e noi abbiamo già imparato ad aspettarti.
Di te sappiamo poche, pochissime cose: hai 17 anni, vieni dal Mali, hai fatto il terribile viaggio che ti ha portato in Italia in un lampo, due mesi appena.
Ci hanno detto che sei riuscito a prendere la terza media italiana in un anno, che è poco meno del periodo di tempo che vivi qui.
Ci rallegriamo del fatto che in Mali si parli francese, che tu parli francese. Siamo più volentieri francofoni anche noi.
Ti prepariamo la “casetta”, che è il posto nel quale starai, ma lo facciamo senza sapere quali sono le tue preferenze. Ti piace di più il letto singolo o a una piazza e mezza? Dove metterai le tue cose? Ti basterà metà armadio?
Comunque ci auguriamo che ti piaccia avere un po' di autonomia, visto che alla tua età, nel paese dal quale provieni, sei giá uomo da un pezzo.

L’attesa è un sentimento difficile da sostenere. Ha bisogno di essere alimentato con sogni e promesse, altrimenti si deprime, si accartoccia sulle proprie piccole tristezze e sui “ma se succede che…”.
Sei un mistero.
Una difficile impresa.
Finché non sarai qui, fai un po' tremare le ginocchia.
Le prospettive sono oscure e i progetti, senza di te, sono bizzarri puzzle con un pezzo mancante.
Ti abbiamo anche spedito una foto dalla quale ti guardiamo sorridendo, appoggiati a una balla di paglia. Chissà se l’hai ricevuta. Cosa pensi. Come sei fatto.

venerdì 17 agosto 2018

Momo ed io / 3





“A sera, talvolta, quando i suoi amici se n’erano tornati a casa, sedeva a lungo, immobile sola nel gran cerchio di pietra dell’antico teatro, cui sovrastava la volta del cielo scintillante di stelle, con l’orecchio teso a ad ascoltare l’immensitá del silenzio. 
Era come fosse al centro di un grande orecchio a captare il suono di un universo di stelle. E dall’infinito le giungeva una sommessa e pur possente musica che le accarezzava l’anima.” 
“Momo”, Michael Ende


Lo sguardo del mio cane Momo è un suono.
Un suono preciso; non una dissonanza, ma nemmeno un’armonia.
Un diapason che io sola riconosco fra tutti i suoni naturali che mi circondano.

Una volta, molto tempo fa, ho visto le cascate del Niagara.
Come dicono tutti è “uno spettacolo straordinario”. Ma la cosa che colpisce di più è sicuramente il potente frastuono dell’immensa quantità d’acqua che precipita di sotto. Un suono difficile da descrivere: grande, gonfio, che ti attraversa in tutta la sua pienezza. Non si ode con le orecchie, ma con il corpo: impossibile non sentire ogni cellula vibrare grazie a quel rombo colossale. Ci sono gli spruzzi che ti colpiscono, c’è l’intensità del paesaggio e i colori delle pietre colpite dal getto dell’acqua; ma più di tutto il rombo.
È la natura che ti dice “ascoltami, perdio!” e reclama la nostra adesione a lei o, se recalcitranti, la nostra totale sottomissione ai suoi voleri.
Sarà stato questo il suono della creazione? Penso di no.
Io, che apprendo per antinomie, ho pensato laggiù che, se la creazione avviene attraverso un suono, non può essere di quella natura così sfacciata.
Dentro me il suono della creazione è una musica appena percettibile, sottile, sussurrata, piena di vita concentrata e ancora inespressa.
In molte cosmogonie la comparsa della vita avviene grazie a un suono e attraverso un suono si manifesta.
“Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale.” Scriveva M. Schneider in “La musica primitiva”.

Allora, per molti anni a venire, ho cercato quel suono, o meglio, sono stata interessata, appassionata dalla ricerca di quel suono. Non in modo maniacale, ma come una piacevole ricerca che ha fatto spesso da sfondo alla mia vita. Per questo amo stare “nella natura”, qualunque cosa questa affermazione significhi, e ascoltarla anche dentro di me.
Con questo interesse, alla ricerca di una vibrazione, di un suono primigenio, provo ad ascoltare anche chi mi avvicina.

Momo è sdraiata nel suo angolo preferito della sala. Il muso fra le zampe, mi guarda, e io percepisco, più che vedere, il suo sguardo da sotto in su, diretto a me.
Preparo la cena, mi muovo per la stanza, faccio gesti noti della nostra  quotidianità, ma soltanto da poco mi sono davvero abituata ai suoi occhi che mi seguono.
Quello sguardo, proprio quello e non un altro, è ora una costante del nostro legame profondo.
Una vibrazione fra di noi mentre cammino nel prato avanti e indietro per allenare questo legame; un nastro sottile e indistruttibile quando guadiamo il fiume alla ricerca del nostro posticino preferito; un suono che mi tiene sveglia mentre vivo la mia vita.
Lì, proprio lì, è racchiusa tutta la nostra cosmogonia, il nostro universo di contatti, esperienza, vissuto, bello e anche brutto.
Capisco solo ora che lo sguardo del mio cane è un suono. Quel suono.
Quel suono che, indipendentemente dal suo punto di osservazione, mi penetra nella schiena tra le scapole, solletica la mia colonna vertebrale e l’aiuta a raddrizzarsi, distende il mio diaframma e mi fa cantare bene, espande il mio cuore che può finalmente spargere frammenti di sé, attraversando facilmente lo sterno, senza paura di spezzarsi.
Il suono dello sguardo di Momo sostiene la mia personale cosmogenesi e in quel suono, proprio quello, mi sento viva e mi ascolto vivere con gratitudine.

martedì 7 agosto 2018

Momo ed io / 2





“E tu chi sei?” Domandò il Bruco.
Non era promettente come apertura di dialogo. Intimidita, Alice rispose: “Io - a questo punto quasi non lo so più, signore - o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere stata cambiata più di una volta”.
“Che vuol dire con questo?” Domandò il Bruco, severamente. “Spiegati!”
“Vede, signore, non si può spiegare ciò che non si conosce” rispose Alice, “e io non mi conosco più, capisce?”

Lewis Carrol



È una calda mattina di metá agosto. Il sentiero non è battuto e cespugli e rovi ci vengono incontro. L’erba, ancora bagnata dalla guazza della notte, mi inumidìsce l’orlo dei pantaloni.
Momo è di buon umore, accelera il passo e trotterella davanti.
5, 10, 20 metri…
Una voce: “Chiamala!”
Io: “Momo!”
Lei si volta di scatto. Il suo volto è luminoso, il suo corpo rilassato, da ogni suo pelo traspare una felicità limpida, senza increspature. Tiene la lingua penzoloni sulla sinistra del muso e gli occhi fissi a me.
Com’è tipica questa sua espressione! Tipica di lei, la mia amica cane, la modalità con la quale ritorna da me, le punte delle orecchie mosse da una leggera brezza.
Mentre accorcia velocemente le distanze tra noi, i pensieri mi sopraffanno.
Da quale luogo misterioso il mio cane attinge alla sua spensieratezza? Perché mi sembra ancora di non meritarmi il suo spedito ritorno felice?
Mi accorgo che, nella mia mente, alcune azioni non le penso possibili. Purtroppo accolgo ancora la pronta risposta di Momo al mio richiamo con un malcelato stupore.
Come ho potuto arrivare a meritare una così rapida risposta da parte sua?
Com'è possibile che sia felice - felice! - di tornare da me?
Ho ancora impressi dentro quei frustranti momenti, mentre passeggiavamo insieme e la chiamavo, nei quali si girava a guardarmi con l’inconfondibile espressione del “ritenta, sarai più fortunata”, prima di sparire qualche ora nel bosco.
Oppure quando si sdraiava a terra per non fare quanto le chiedevo.

Cosa è cambiato tra di noi?
Io sono cambiata.
Non sono più quella di ieri e neanche sono più chi ero stamattina.
E Momo ha la straordinaria, meravigliosa capacità di accorgersene e adeguarsi.
Non sono sicura di essere migliore della me stessa di un tempo, ma la magica forza di questo vento estivo mi ha portato in direzione del ricongiungimento con lei.

E sempre sia bene-detto il vento che guida la mia vela verso questa relazione che mi fa sentire magica e rende la mia amica un cane felice.